Introduzione alla vita non fascista 

“Come fare per non diventare fascisti anche (e soprattutto) quando ci si crede dei militanti rivoluzionari? Come liberare i nostri discorsi e i nostri atti, i nostri cuori e i nostri desideri dal fascismo? Come lavar via il fascismo che si è incrostato nel nostro comportamento?”

- Michel Foucault 

Foto di Davide Pellegrini

Il seguente testo riporta il discorso letto dal coordinamento universitario Link Trieste all’incontro “La violenza (in)visibile”, tenutosi in Androna Campo Marzio il 6 marzo 2024 in dialogo con la rivista Charta Sporca. L’intervento è stato scritto da Emma Bracci, redattrice di Intersezione e da Davide Pellegrini del coordinamento di Link.   

L’esercizio filosofico, come ha dimostrato Pierre Hadot,  è sempre stato, fin dai suoi albori nella Grecia classica, un esercizio attivo, continua rimessa in discussione di sé stessi e del proprio rapporto con gli altri, una maniera di vivere prima che un sistema di pensiero.  

Come possiamo immaginarci un’etica per il 2024?

In questi tempi ci sentiamo di ribadire la posizione che il filosofo francese Michel Foucault ha espresso una quarantina di anni fa: vivere significa autodeterminarsi alla libertà e quindi combattere il fascismo, in un senso che avremmo poi modo di specificare. Il problema dell'etica diventa quindi pensare un'introduzione ad una vita non fascista. 

 

Che significato può avere, in questo periodo, a fronte degli innumerevoli tentativi manipolatori e revisionisti della memoria storica, parlare di fascismo, violenza e dispositivi autoritari?  

Come studentesse e studenti, cittadine e cittadini, abbiamo assistito in questi ultimi anni ad un’intensificazione di dinamiche autoritarie e repressive e ci domandiamo non solo, dal punto di vista teorico-teoretico, che valore esse abbiano e cosa si intenda per violenza, ma come queste dinamiche agiscano sul piano pratico e concreto delle nostre vite, invalidando diritti, desideri, necessità e bisogni, privandoci della possibilità di un’autodeterminazione cosciente dei nostri corpi e delle nostre scelte. 

 Il nostro obiettivo, oggi, dovrebbe essere quello di indagare la complessità della realtà circostante, in opposizione all’ormai abituale semplificazione spicciola dei fenomeni che viviamo quotidianamente. Troppo spesso, infatti, una semplificazione dualista e polarizzante degli eventi tende ad appiattire il dibattito e le verità che la narrazione dominante propone sono calate dall’alto, decontestualizzate, strumentalizzate, prive della pregnanza di significati intrinseca agli accadimenti stessi. 

Perché comprendere, dare un senso profondo alle cose, far parte attivamente di processi e costruzione di significati, corrisponde, dal punto di vista pratico-morale, alla scelta di stare dalla parte giusta, quella che sa riconoscere le forme di fascismo insite nei nostri comportamenti quotidiani, quella che denuncia e cerca di abbatterli, uno ad uno, per la creazione della “social catena” leopardiana fatta di cura, ascolto e solidarietà collettiva. 

I temi citati possono sembrare astratti e complicati da sviluppare. Per questo motivo esistono, nella storia, grandi riferimenti culturali e intellettuali cui rivolgerci in caso di necessità, una sorta di archivi storici e letterari, fari luminosi dai quali traiamo spunto e che ci guidano nelle analisi più lacunose. Nel 1969, ne L’Archeologia del sapere, Foucault ha scritto che l’archivio è la chiave, la fonte determinante per la spiegazione di fatti e rappresenta “la legge di ciò che può essere detto”; noi, oggi, vorremmo proprio voler dire o ribadire cosa rappresenti vivere una vita non fascista. Per fare ciò, il nostro archivio prolifico che ci ha ispirate è il testo omonimo Introduzione alla vita non fascista di Michel Foucault, presente nella prefazione della traduzione americana de L’Anti-Oedipe: capitalisme et schizophrénie scritto da Gilles Deleuze e Félix Guattari.  

In questa breve introduzione, Foucault presenta L’Anti-Edipo come l’unico vero libro di etica che sia mai stato scritto in occidente, perché gli autori dell’opera, secondo il filosofo francese, guidano il lettore verso una vita non fascista. E badate bene, per “fascismo” Foucault non intende solamente il fenomeno storicizzato, la dittatura di Mussolini e il ventennio italiano; Foucault si riferisce al “fascismo che è in noi, che possiede i nostri spiriti e le nostre condotte quotidiane, il fascismo che ci fa amare il potere, desiderare proprio la cosa che ci domina e ci sfrutta”. Ed è per questo che, soprattutto dall’insediamento del governo Meloni, di fronte all’accusa di un ritorno fascista, molte personalità politiche e non, hanno rigettato con veemenza questa critica; accusa che appare del tutto fondata, vista la condotta di questo governo da un anno e mezzo a questa parte, con i suoi numerosi tentativi quotidiani di delegittimare i valori antifascisti e la storia della Resistenza italiana; tuttavia, tali zelanti del potere non vedono (o fanno finta di non vedere) quello che ci ha indicato chiaramente Foucault: il fascismo non è solo un periodo storico, ma è un atteggiamento, una modalità di ragionare, fascismo è scegliere di odiare, privarsi della possibilità di vedere con sagacia e curiosità il mondo, indagare a fondo la realtà ed essere pronte e pronti ad accogliere la diversità. 

Umberto Eco, nel saggio Fascismo eterno del 1995, ha scritto che il fascismo non coincide solo col partito mussoliniano, ma è “un modo di pensare e di sentire, una serie di abitudini culturali” che sono “ancora intorno a noi, talvolta nascosti da abiti civili”. Per questo non ci possiamo nascondere solamente dietro il dito del fenomeno storico, ma va riconosciuta la struttura in senso lato, perché il fascismo è presente tutti i giorni sotto forma di machismo, razzismo, discriminazioni, ingiustizie sociali ed economiche, violenze, molestie e privazioni di libertà. Lo stesso Mussolini, in suo discorso, affermò: “io non ho creato il fascismo, l’ho soltanto tratto dall’inconscio degli italiani”; questa frase non fa che ribadire il concetto per cui il fascismo è un habitus, una condotta, una forma mentis, un costrutto culturale e, come tale, esso continua ad esistere oggi.  

Affinché sia possibile vivere una vita non fascista, Foucault elenca una serie di "principi essenziali” che possono guidare l’essere umano in tale impegno: 

1 “liberate l’azione politica da ogni forma di paranoia unitaria e totalizzante”. 

Come detto inizialmente, una semplificazione univoca degli accadimenti può portare ad un appiattimento e falsificazione del dialogo, con il conseguente pericolo che sia proposta solo una visione dominante. Questo fenomeno trova un suo esempio chiarissimo oggi, basti vedere come i media hanno invisibilizzato ed invisibilizzano tutte e tutti coloro che parlano di Palestina, accusando di antisemitismo qualsiasi denuncia al governo sionista israeliano. L’oscuramento mediatico del genocidio in corso in Palestina non è che un esempio evidente di come l’azione politica proponga dall’alto una narrazione univoca, totalizzante, che rifugge qualsivoglia forma di dissenso, reprimendolo con la forza, come ci hanno mostrato i fatti di Pisa di recente. 

2 “Fate crescere l’azione, il pensiero e i desideri per proliferazione, giustapposizione e disgiunzione, anziché per suddivisione e gerarchizzazione piramidale”.  

Questo principio proposto da Foucault è la riprova che ciò che faremo noi oggi non sarà semplice esercizio stilistico ed intellettualistico, ma soprattutto un tentativo di scandagliare il reale, la complessità insita nel mondo circostante, scovare i celati atteggiamenti fascisti troppo spesso interiorizzati. Perché attraverso il dialogo collettivo e l’accrescimento della conoscenza e del sapere una decostruzione è possibile.  

3  “Affrancatevi dalle vecchie categorie del Negativo (la legge, il limite, la castrazione, la mancanza, la lacuna), che il pensiero occidentale ha così a lungo sacralizzato come forma di potere e modo di accesso alla realtà. Preferite ciò che è positivo e multiplo, la differenza all’uniforme, il flusso alle unità, i dispositivi mobili ai sistemi. Tenete presente che ciò che è produttivo non è sedentario, ma nomade”.  

Il reale, alla bergsoniana maniera, non è mai dato, ma è sempre mouvant, un atto in atto.  Noi viviamo secondo un processo e mai come un factum. Un cambiamento della società è possibile in quanto già da sempre noi siamo un cambiamento, esso è intrinseco alla durata della vita, noi siamo processo creativo e mai stasi o immobilismo; dunque, osservare la realtà circostante nel suo dinamismo ci permette di avere speranza nel sovvertimento e nel mutamento delle logiche di potere e degli assetti di forza dominanti. 

4 “Non crediate che si debba esser tristi per essere dei militanti, anche quando la cosa che si combatte è abominevole. È ciò che lega il desiderio alla realtà (e non la sua fuga nelle forme della rappresentazione) a possedere una forza rivoluzionaria”.  

“Contro gli asceti politici, i militanti cupi, i terroristi della teoria”, Foucault ci insegna che la rivoluzione è quell’atto che nasce tra la necessità all’agire e il desiderio come soggetto dinamico, mutabile, come una scintilla che fa breccia nell’animo del singolo e diviene incendio di speranze nella collettività tutta. Foucault ci insegna a non sottovalutare l’elemento timotico del vissuto, dell’esperienza dell’individuo che, entrando poi a far parte di una rete sociale che condivide con lui le stesse visioni del mondo, si riscatta in comunità, partecipazione, unione e affinità del sentire. La politica e la militanza sono investimenti di sforzo, fatica, energie, ma anche e soprattutto desiderio vivo, voglia di rompere i vincoli sociali costituiti, aggregazione, amore e passione. Esse sono, per usare le parole di Deleuze, una “pratica della gioia”.  

5  “Non utilizzate il pensiero per dare un valore di verità ad una pratica politica, né l’azione politica per discreditare un pensiero come se fosse una pura speculazione. Utilizzate la pratica politica come un intensificatore del pensiero, e l’analisi come un moltiplicatore delle forme e dei domini d’intervento dell’azione politica.”  

La pratica politica ed il pensiero non devono essere gerarchizzati e disgiunti, ma sono interrelati affinché non sia possibile una loro strumentalizzazione e banalizzazione.  

6  “Non pretendiate dalla politica che ristabilisca i «diritti» dell’individuo per come li ha definiti la filosofia. L’individuo è il prodotto del potere. Occorre invece «disindividualizzare» attraverso la moltiplicazione e la dislocazione dei diversi dispositivi. Il gruppo non deve essere il legame organico che unisce gli individui gerarchizzati, ma un costante generatore di «disindividualizzazione»”. 

7  “Non innamoratevi del potere”.  

Come disinnamorarsi del potere? Come è possibile attuare una decostruzione del concetto di potere? Innanzitutto, è fondamentale evidenziare che il concetto stesso di potere implica una sproporzione, uno sbilanciamento intrinseco dovuto al fatto che una soggettività o una realtà che lo esercita gerarchicamente ne opprimerà necessariamente un’altra, creando un meccanismo di ingiustizia e soggiogamento.  

Il potere, nella sua dimensione onnipervasiva, deve essere decostruito e scomposto nei suoi fondamenti, attraverso una relativizzazione dei suoi presunti benefici, come la ricchezza, la hybris ed il prestigio. Questa apparente essenza del potere, simbolo della società capitalista in cui viviamo, è in grado di esasperare e non migliorare la vita degli esseri umani, all’insegna di una morbosità e un’ossessione logoranti e violente.  

 

Per questo è necessario “dare la caccia a tutte le forme di fascismo, da quelle, colossali, che ci circondano e ci schiacciano, fino alle minute forme che fanno l’amara tirannia delle nostre vite quotidiane.” 

Come è possibile fare questo? Innanzitutto, attraverso una contronarrazione. Attraverso un uso politico della filosofia. 

 Se le classi dominanti hanno lo scopo di far interpretare, ai dominati, il sistema di volta in volta corrente delle relazioni sociali come qualcosa di naturale, di eterno, di reificato, la filosofia e in generale gli studi umanistici hanno invece il compito di rivelarne la natura storica, di far emergere le voci differenti e dissidenti di ogni fase. 

È il compito che noi ci vorremmo assumere. Si tratta di ricordare costantemente che ciò che chiamiamo la realtà del mondo è solo la forma socio-ideologica di precise relazioni sociali fra governanti e subalterni. Chi domina ha sempre il fine di presentare la realtà vissuta come totalizzante, senza vie di fuga, eterna. Chi è dominato ha il dovere di contrapporre a questa immagine la totalità delle vicende storiche. La coscienza del suo essere in divenire ci libera dall’incantesimo di ciò che Mark Fisher ha definito realismo capitalista e suggerisce costantemente la possibilità di modificare le cose, invitando a lottare per il cambiamento. 

 

Davide Pellegrini - fuori redazione

Presentazione dell’autore:

Insegnante precario ed eterno studente. Sono cresciuto a Codroipo, paesino della pianura friulana dove l'unica cosa che succedeva, in un anno intero di quattro stagioni, erano appunto le stagioni. 

A Trieste ho trovato la mia Bouville,  dove ho imparato ad "esistere, lentamente, dolcemente, come questi alberi, come una pozza d’acqua, come il sedile rosso del tram." 

Quello che scrivo la notte, riletto la mattina dopo già non mi piace più. 

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