Come si convive con l’ipocrisia (secondo Thomas Bernhard) 

Fonte foto: Wikipedia

“Detestava le persone che parlano senza aver finito di pensare, 

dunque, detestava quasi tutta l’umanità.” 

- Thomas Bernhard, Il soccombente

 

Nel grande e fumoso salone delle udienze del ministero austriaco dell’Arte, della Cultura e dell’Istruzione echeggia un maldestramente eseguito concerto per archi. Sta per essere consegnato il Piccolo Premio Nazionale per la Letteratura del 1967. 

Di fronte al palco siedono ordinatamente decine e decine di teste stanche e rugose, che dovrebbero rappresentare il meglio che la città di Vienna ha da offrire in quanto ad arte, cultura e istruzione. Una collezione di cervelli talmente illustri e sottili, un composto di menti talmente brillanti da poter essere considerato senza falla il più grande insieme di presunto senso artistico nel raggio di centinaia e centinaia di chilometri. In prima fila, a completare la rassegna dell’Olimpo della saviezza austriaca, troneggia Sua Eccellenza il Ministro Theodor Piffl-Perčević dalla Bassa Stiria, amico e compagno di partito del Cancelliere in persona.  

Il brano termina e gli archetti vengono posati. La schiera di sapienti inizia automaticamente ad applaudire, ottusamente insensibile alla pessima qualità dell’esecuzione. Come destatosi da un letargo, Sua Eccellenza il Ministro si alza dal sedile e avanza verso il palco con teatrale lentezza, afferrando strada facendo un foglio pieno di parole non sue. Si staglia davanti alla platea, alto e tozzo allo stesso tempo, con due rigogliosi baffi ingrigiti e un principio di calvizie, con un’aria svolazzante che appare ridicola se confrontata con la sua stazza, con due occhi troppo distanti l’uno dall’altro e uno sguardo solenne che tradisce ebetudine. Sua Eccellenza il Ministro gonfia il petto e comincia a leggere. Con l’inizio del suo discorso può dirsi iniziata anche la cerimonia vera a propria, e così l’attenzione si sposta sui cinque o sei premianti. Questi, tra l’altro, abbassano notevolmente l’età media della sala: il premio è infatti assegnato per un’opera di esordio, a mo’ di sponsorizzazione, nel contesto del ben più prestigioso Grande Premio Nazionale. Gli scrittori presenti sono quindi giovani, suppergiù ventenni, con una sola importantissima eccezione. 

Thomas Bernhard, classe 1931, siede sbigottito e quasi accartocciato nel suo completo grigio antracite. Sotto la chioma spettinata si agita una delle menti più affilate e affollate del Novecento. É un artista nel descrivere il mondo come se fosse fatto di veleno, specializzato nel far vibrare le cose a una frequenza altissima. Da qualche parte nel tragitto che passando per la penna va dal cervello alla pagina, un certo tetro malessere si aggiunge sempre al suo genio. Bernhard siede e pensa alla candidatura che suo fratello ha segretamente inviato al Ministero. Mentre l’odioso Piffl-Perčević continua a blaterare, lui si aggiusta il monopetto e riflette su tutta la serie di decisioni che l’hanno condotto in questa triste situazione perché, si capisce, mai avrebbe pensato di potersi trovare in mezzo a persone tanto abiette. Non si può capacitare del clima conservatore e spregevole in cui è immerso, non riesce a comprendere l’assoluta e inaggirabile mancanza di intelligenza che lo circonda. 

É finalmente chiamato, e anche lui si avvia verso il palco. Ha l’aria di chi sta andando alla propria fucilazione portando egli stesso le armi cariche sottobraccio. E in effetti ogni passo che lo porta più vicino al Piccolo Premio Nazionale è come un terribile colpo alle reni e all’orgoglio. Che piccolezza questo premio, un premio che a trentasei anni è solo un insulto. A ogni respiro Bernhard avvampa per l’imbarazzo di aver accettato con finta riconoscenza uno schiaffo camuffato da onorificenza, peraltro elargitogli dai più esecrabili personaggi. A ogni battito di ciglia è colto da una vergogna tale da mozzargli il respiro. Si sente colpevole, sente il suo stesso fiato sul collo. Quale porco, quale schifosissimo verme può con tanta ipocrisia affrontare la miserabile inettitudine dei funzionari del Ministero della Cultura e dell’Arte? Quale scrittore degno di questo nome potrebbe mai scendere a patti con l’ignobile cretineria di un comitato composto esclusivamente da imbecilli, e per di più costruendosi un sorriso di gratitudine? Facile: qualunque genio, se indebitato fino al collo, diventa un docile, schifoso verme quando insieme a un premio repellente gli vengono tesi venticinquemila scellini. Così Thomas Bernhard, con una gran voglia di denaro, con la certezza di essersi infine completamente compromesso, con i nervi che stridono, sale sul palco. Per quale colpa, per quale atroce delitto, pensa, sono stato punito con questo piccolo premio? Sempre più sfilacciato e disperso, Bernhard appiana un foglio con qualche riga scritta a macchina. É in quell’istante che la vergogna, come previsto, diventa rabbia, e il delitto premeditato si sta per compiere. Il groppo alla gola si scioglie, e le parole avanzano come un’ondata di acido. 

Egregio signor ministro, egregi convenuti… c’è un certo brusio …non c’è nulla da lodare, nulla da condannare, nulla da denunciare, ma molto è ridicolo; tutto è ridicolo, se si pensa alla morte… il brusio si spegne …i tempi sono dissennati, il demoniaco in noi è una patriottica galera a vita, in cui gli elementi della stupidità e della spietatezza sono diventati esigenza fisiologica quotidiana… il silenzio è glaciale …lo Stato è un’entità condannata al continuo fallimento, il popolo un’entità condannata all’incessante infamia e alla demenza… il silenzio diventa assordante …la vita è disperazione in cui trovano appoggio le filosofie, in cui tutto in ultima analisi è costretto alla pazzia… occhiate perplesse come dardi tra i presenti …noi siamo Austriaci, siamo apatici: siamo la vita intesa come ignobile disinteresse nei confronti della vita, la megalomania intesa come futuro… ondate di inquietudine attraversano la sala …siamo miserabili, schiavi… il brusio riprende …strumenti del declino, creature dell’agonia… il brusio aumenta d’intensità …se tutto ci si spiega, nulla noi capiamo. Noi popoliamo un trauma… voci già gridano allo scandalo …noi siamo davvero niente, e non meritiamo nient’altro che il caos… molti si alzano in piedi, sembrano persi …ringrazio questa giuria, ed espressamente tutti i convenuti. 

Prima che Bernhard abbia finito di parlare, Sua Eccellenza il Ministro corre sul palco. Sua Eccellenza il Ministro è del colore delle seggiole di velluto rosso della sala. Sua Eccellenza il Ministro alza la mano destra stretta a pugno, si ferma, sbraita qualcosa di intraducibile. Sua Eccellenza il Ministro esce dal salone sbattendo la porta talmente forte da romperla. Silenzio, ma solo per qualche secondo. Caos. Lo scrittore rimane immobile come uno spaventapasseri, innocente come un bambino. Forse, un sorrisetto gli increspa appena le labbra. Il giorno seguente <<Wiener Montag>> scriverà: Bernhard è una cimice e bisogna annientarlo.  

Come si convive con la propria ipocrisia, secondo Thomas Bernhard? Innanzitutto, riconoscendola come tale. Poi, accantonando l’orgoglio, adottando il più vergognoso travestimento per potersi infiltrare indisturbati tra le linee nemiche. Infine, scrivendo un discorso al vetriolo, godendo segretamente delle reazioni di chi ascolta e intascandosi i loro soldi. Ovvero: commettendo una rapina alla luce del giorno e lasciando il proprio biglietto da visita.  

Questo aneddoto è riportato sia ne I miei premi che ne Il nipote di Wittgenstein, entrambi editi da Adelphi. Consiglio quest’ultimo come primo approccio a Bernhard, perché tra tutti i suoi libri è forse quello che spaventa di meno: è breve e scorrevole, e accanto ai soliti rovesci di bile e soda caustica c’è una delicatezza che nelle sue opere si trova raramente.  

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