Curare la colpa

La cattura di Cristo (1602) - Caravaggio 

Il senso di colpa domina incontrastato nella multiforme platea dei sentimenti umani.   

Senso di colpa per non essere abbastanza, per non aver superato l’esame, per non aver performato quanto desideravamo, per aver disatteso le aspettative, per non aver concluso un lavoro, per aver trascurato passioni e interessi, per aver manifestato rabbia, tristezza e paura, per gli errori commessi, per le azioni compiute, per una parola fuori posto, per non esserci stata, per aver mangiato, per aver risposto nervosamente, per quella carezza non data, quei baci rubati e quei libri non ancora letti che, forse, rimarranno immobili sulla nostra mensola. 

Senso di colpa per essere in vita. 

 

La colpa appare come un’entità, ci guarda, osserva i nostri movimenti e invade i nostri pensieri. Questo sentimento è profondamente radicato nella cultura della nostra società; esso può rappresentare il simbolo di un rimpianto, di estremo individualismo o di autocritica declinata come esasperata responsabilità. Anche in un momento di serenità la colpa è sempre lì, a ricordarci che in fondo qualcosa può sempre andar male e fuoriuscire dai binari prestabiliti. La colpa è come una sentinella, è presente proprio quando siamo assenti a noi stessi. La colpa è un tribunale, non perde occasione di incolparci insistentemente. 

Come liberarsi, quindi, da un sentimento così opprimente nella coscienza di ogni individuo? Come smettere di sentirsi inadeguati, prendendo atto della propria libertà di vivere senza limitanti restrizioni? 

 

Il senso di colpa non esprime soltanto un sentimento umano, ma anche e soprattutto un sentimento politico al servizio del potere. La colpevolizzazione, infatti, rappresenta uno dei principali strumenti di controllo e sorveglianza della società. Esattamente al contrario del suo significato originario, ovvero quello di spinta, il potere ha colto e coglie appieno l’accezione di colpa quale immobilismo e inerzia. Raramente, l’uomo e la donna statici sono inclini alla partecipazione collettiva e alla presa di coscienza della propria posizione sociale, continuando così a produrre lavoro passivamente, bloccati nella propria colpa di esistere. Il potere si serve incessantemente di questo meccanismo psicologico al fine di mantenere gli equilibri preesistenti, perché, se nulla accade nulla potrà mai cambiare. 

 

Un esempio simbolico del dispositivo colpevolizzante è rappresentato dalla religione cristiana e dalla sua istituzione temporale, la Chiesa. Fin dai suoi albori, la religione cristiana ha presentato la dottrina del peccato originale come la disobbedienza commessa dai progenitori difronte a Dio, ragion per cui l’uomo si è distaccato dal Sommo Ente divenendo mortale. Se ci pensiamo bene, il racconto scritturale all’interno del terzo capitolo della Genesi si fonda sul sentimento della colpa, intesa come errore irreparabile commesso da Adamo ed Eva. La colpa rappresenta un cordone ombelicale che lega indissolubilmente i progenitori a tutta la specie umana, addentrandosi nei meandri della coscienza del singolo dapprima subdolamente, poi con pertinacia. L’essere umano non può evadere da tale soffocante condizione, con la nascita egli riceve in dote anche il fardello della violazione ancestrale. 

L’individuo ha interiorizzato la trasgressione originaria e la Chiesa non ha perso occasione di rafforzare tale percezione anche davanti ad una vita retta e pia. L’insinuazione di aver peccato difronte a Dio è stata l’arma più adoperata dalla Chiesa nel sacramento della Confessione; attraverso l’ammissione di colpa del fedele, infatti, l’istituzione ecclesiastica è riuscita, in età controriformistica, a creare una rete di controllo inquisitoriale con l’obiettivo di debellare le eresie e le dottrine proibite dall’ortodossia. Ne Il Concilio di Trento: una introduzione storica, Adriano Prosperi scrive: “Il confessore era un giudice: il Concilio di Trento aveva ribadito questa definizione e aveva anche insistito sull’obbligo per i penitenti di descrivere con precisione le loro colpe. Quale occasione migliore per sapere chi e quanti erano i nemici della Chiesa? Dall’idea che la confessione fosse uno strumento per governare la società discese anche l’uso del sacramento come un mezzo per conoscere e perseguire eretici e criminali”1. 

 

La macchina colpevolizzante non ha pervaso soltanto la sfera psicologica, ma anche quella fisica: durante il Medioevo e l’età moderna il controllo del corpo è servito all’istituzione ecclesiastica per regolare il numero delle nascite e condannare pratiche considerate immorali quali l’aborto e l’omosessualità; in questa prospettiva la Chiesa ha diffuso una mentalità maschilista e oppressiva, nella quale la donna è stata relegata a mero strumento riproduttivo e privata della libertà di disporre autonomamente del proprio corpo. La modalità migliore per riuscire ad ingabbiare la donna nel ruolo di madre e domestica accudente è stata la colpevolizzazione, così nella cultura cattolica e patriarcale la donna avverte il senso di colpa per essere donna in quanto tale; per riscattarsi da questa condizione intollerabile ella si è gravata di responsabilità altrui, provando sofferenze incommensurabili sulla propria pelle. 

 

Il compito della colpa come sentimento al servizio del potere consiste pertanto nell’intrappolare gli individui nel proprio ruolo sociale, negando loro la possibilità di autodeterminarsi senza la presenza dell’ombra peccatrice. Il peccato primordiale, che causa nell’individuo un’angoscia per la trasgressione, si annida ancora oggi nella convinzione inconscia secondo la quale l’uomo non è meritevole di vivere piaceri e momenti di spensieratezza. 

Tuttavia, la colpa è un sentimento umano e come tale non va demonizzata integralmente poiché, come si evince dalla stessa espressione “senso di colpa”, essa può fornire una direzione, una spinta, una spia della propria consapevolezza, un senso appunto. Questa premessa non deve però distogliere l’attenzione dalla sua portata politica come espediente per il mantenimento dello status quo. Dinanzi a tale fenomeno, l’essere umano deve prendere coscienza del proprio ruolo come portatore di un’auspicata decostruzione della colpa intesa nella sua funzione di dispositivo autoritario. 

Dopo secoli di indottrinamento e diffusione tentacolare del senso di colpa non sarà facile sradicare questo fantasma che grava sulle nostre vite, liberarsi dei propri pesi può rivelarsi arduo e faticoso. Eppure, la ribellione nei confronti di questo sistema ingerente può passare attraverso risorse rivoluzionarie come la premura, la condivisione e la cura collettiva. 

In una società in cui regnano l’individualismo e la colpevolizzazione del singolo, noi saremo comunità. 

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