Inquietudini Ottrobine

Come un film bruttino può insegnarci ad attraversare la strada 

Screenshot del film "Frances Ha" - Noah Buambach

Verso la fine di agosto ho iniziato ad avere un pensiero ricorrente, continuava a tornarmi in mente un film visto anni fa. In diverse scene la protagonista attraversa ballando strade newyorkesi sulle note di Modern Love e io continuavo a canticchiare David Bowie. Così ho deciso che se il mio cervello ci teneva a darmi consigli cinematografici li avrei dovuti seguire. D’altronde, la storia di un’aspirante ballerina alle prese con una grande città e il diventare grandi poteva essere di buon auspicio per un anno universitario che si prospetta quantomeno travagliato. Va bene cervello, programmiamo la proiezione per ottobre.

Tornata a Trieste mi rendo conto che a diversi conoscenti è recentemente tornato in mente questo film. Mi insospettisco. La pellicola in questione è Frances Ha, di Noah Baumbach, uscito nel 2012, con protagonista Greta Gerwig. Strano penso, il film è forse il titolo più famoso di un sottogenere della cinematografia indipendente statunitense chiamato “Mumblecore”. Generalmente pellicole a basso budget su storie di trentenni che cercano di barcamenarsi nella vita adulta borbottando (“to mumble”, da cui il nome). Decisamente non famosissimo in Italia, se non ricordo male io lo scopro solo perché il mio amore diciannovenne per Adam Driver mi spinge a guardarmi indiscriminatamente tutta la sua filmografia, e in Frances Ha c’è pure lui. Apparentemente il film e l’angoscia che mi causa rimangono seppelliti tra cumuli di materiale postadolescenziale fino a un inatteso ripescaggio.

Frances fa la ballerina, ma non riesce ad avere un ruolo stabile nella sua compagnia di danza. Frances è disordinata, distratta, circondata da persone che magari le vogliono bene, ma le fanno del male. Insegue i suoi sogni, ma lo fa in modo strambo, perché è stramba. A volte non riesce ad alzarsi dal divano, i soldi le mancano sempre, in un sacco di scene fissa il vuoto. Frances dice bugie sempre più grosse per camuffare la direzione che la sua vita prende a seguito delle sue non scelte. La storia parla di fallimenti e di come questi ci mettano sotto scacco perché noi siamo troppo impegnati a far finta che non esistano. La storia prosegue tra dialoghi e situazioni stereotipate, ma che a tratti sorprendono o riescono a intenerire. Nel mentre io mi rendo conto di una cosa: ora Frances ha la mia età.

Questo non ci rende simili, continuerò a rifarmi il letto ogni mattina e piegare diligentemente il tappetino della doccia dopo ogni utilizzo, però in qualcosa ci avvicina. Mi sento solidale con il suo sguardo che non sa dove posarsi, con il suo spaesamento, con il suo affezionarsi ai luoghi in cui abita, ma che deve continuamente lasciare. Con la mancanza di direzione che così spesso chiamiamo angoscia.

In uno dei tanti dialoghi imbarazzati in cui l’ennesimo sconosciuto le chiede che lavoro fa, lei risponde che è difficile da spiegare – perché quello che fai è complicato? – La incalza. No, perché non lo faccio in realtà. Frances è inadeguata, e sorride del suo esserlo e di un mondo che invece non fa che cercare di nasconderlo o di colmare quell’inadeguatezza creandosi attorno il vuoto. Frances scivola dietro un cassonetto e, facendo finta di niente, si rimette a correre. Frances è l’amica scema che fa ridere tutti, ma che li mette anche in imbarazzo. È l’insieme di tutte le decisioni che ci portano lontano da dove pensavamo di arrivare.

È buffo, alla fine questo film me lo ricordavo più bello, un po’ meno incasellante, con meno cliché. Però Greta Gerwig è spaziale. Perché lei quel mondo degli adulti, che non siamo altro che noi, lo ridimensiona e ce lo restituisce come un parco giochi, un luogo dove nessuno verrà guardato male se si mette a ballare. Perché alla fine, non esiste luogo dove ballare sia vietato.

Allora, se devo trovare un augurio che il mio cervello mi fa tramite i suoi bizzarri ripescaggi cinematografici, forse è proprio questo: arriva l’autunno, le zucche, si ritrovano gli amici e le vecchie abitudini in un anno nuovo. Il momento in cui, volenti o nolenti, misuriamo e pianifichiamo la strada che ci separa dai nostri obiettivi. Però io questa distanza non la voglio solo quantificare in metri, sforzo, ore. Voglio decidere come percorrerla, la voglio ballare. Non voglio quello che sta in fondo alla strada, voglio che la nostra strada sia bella. Sperò lo sarà.

Indietro
Indietro

Cambiare idea

Avanti
Avanti

A che cosa serve un giornale