Cambiare idea

Riflessioni su una crisi univeristaria

“Tu sei il cocchiere, e per fare andare il carro dove vuoi tu non serve ascoltare solo un cavallo, altrimenti non farai altro che girare su te stesso.” Questo dice la psicoterapeuta Philippa Perry in uno dei video della sua rubrica per il Guardian (pubblicati in Italia su Internazionale), dove i lettori le chiedono come affrontare i loro ostacoli psicologici. Questo è quello che mi dice Philippa mentre guardo il suddetto video in aula studio, invece fare cosa dovrei fare, ovvero studiare.  

Fa riferimento a un testo di Platone in cui la persona, e tutto ciò in cui essa consiste, viene paragonata a un carro con tanto di guida e due cavalli. I ruoli che Philippa assegna al carro con seguito mi paiono un pochetto differenti dall’interpretazione che trovo sulla relativa pagina di Wikipedia, ma io di Platone e di filosofia in generale non so nulla e non me ne curo. Non è questo il punto. 

 

Philippa dice che il carro trasporta la nostra anima, noi siamo il suo conducente e i cavalli che lo trainano sono, uno la personalità appariscente, e l’altro il desiderio o personalità nascosta. Arrivare ad una qualche meta dipende dalla buona gestione degli animali che, a quanto pare, hanno idee abbastanza divergenti su quale sia la strada. Seguire solo uno o l’altro significherebbe fondamentalmente rimanere sul posto.  

Io sono ferma sul posto da diversi mesi, o almeno questo è quello che mi pare, ma non so quale cavallo stia trainando la faccenda.  

Anche solo cercare di definire cos’è, per me, la personalità appariscente e quella nascosta mi pare complicato. Che cosa indicano? Quello che sento di dovere fare e quello che vorrei fare? Quello che vorrei apparire ed essere, e il loro riscontro pratico? È complicato come può esserlo darsi un limite per conoscersi. È complicato come è complicato fare i conti con il fatto che le proprie convinzioni stiano cambiando e che il cavallo ci porti in una direzione imprevista. 

Ad un esame – che faccio finta di preparare da un’assurdità di tempo – e pochi mesi dalla laurea, non so più dove sto andando. La cosa che mi pare più assurda è che mi pareva di avercelo abbastanza chiaro fino a qui. E dopo il qui? Fuori dalla buca che io e i miei cavalli ci siamo scavati, di giorno in giorno, girando in tondo, cosa troveremo? Se un buco visto dall’alto pare un punto, allora, spero che non a caso della svolta sia ciò che si indichi. 

 

Ieri a teatro ho riso fino alle lacrime. Un uomo in scena creava storie a partire da oggetti qualsiasi, una tazzina, un campanello per bici. Un mangiacassette riavvolgeva l’accaduto, perché quello che succede, succede in una sola delle versioni possibili. Ogni cosa aveva una vita a sé. Le sue mani la scintilla vitale del gioco, perché tutto è gioco.  

È da parecchio che la Scienza non mi fa sentire così coinvolta. La Scienza ovvero quella a cui vorrei dedicarmi, ma che più che altro dico di fare. Perché la Scienza non è gioco? Non credo. Forse più perché di tutti gli approcci che potremmo usare questo, a differenza del teatro, viene sistematicamente escluso? Può darsi. Non perché io voglia dare definizione alla Scienza, quanto perché vorrei definire cos’è per me, per capire dove andare. 

 Quando, qualche anno fa, mi sono iscritta all’università, era fondamentalmente una serie di strumenti utili a convincere prima me, poi gli altri di quanto fosse incredibilmente complesso il reale. E non solo il banale reale delle nostre bolle cittadine, ma quello che stava fuori; l’incredibile sconosciuto che chiamiamo Natura. Me la immaginavo un metodo per amplificare i miei sensi, per sentire più fino, per vedere più lontano. Questo significato che avevo trovato spingeva quello che facevo e lo rendeva ai miei occhi l’unica cosa che aveva veramente senso fare. Ha funzionato per un bel po’, ma ora c’è un però. 

Tra qualche mese sarò laureata in biologia ambientale. Ovvero una di quelle persone che si suppone dovrebbero guidare la politica e i cittadini verso scelte che tutelino noi dai cambiamenti climatici e ambientali e l’ambiente da noi, per non peggiorare ulteriormente la situazione. Diciamo una persona con delle competenze di gestione e di divulgazione, ambiti per i quali l’università non mi ha assolutamente formato.  

Potrei pensare di intraprendere un dottorato per essere più competente per il mio futuro lavoro, ma farlo significherebbe finire di acquisire quelle competenze intorno al 2027, ovvero a tre anni dello scoccare del 2030, probabilmente il termine ultimo per rispettare l’accordo di Parigi, mantenere il pianeta sotto la soglia di 1,5°C di aumento delle temperature.  

Potevi pensarci prima. 

Già. 

Forse i miei cavalli sono così inaffidabili perché il loro conducente fa di tutto per non guardare la strada. 

Forse è un po’ quello che stiamo facendo tutti. 

 

Per fare quello che devo fare, sempre che io lo voglia fare, è evidente che devo ripianificare, mettere d’accordo i cavalli su una direzione comune a tutti i miei io. Accettare che neanche le mie convinzioni siano incrollabili. Cambiare idea. Ed è difficile.

 

Una serie di link utili:

Come il consiglio europeo definisce l’accordo di Parigi: https://www.consilium.europa.eu/it/policies/climate-change/paris-agreement/#what 

 

Non per mettere ansia, ma se non sapete cos’è climate clock fatevi un’idea: https://climateclock.world/ 

 

L’uomo del teatro è Matija Solce, attore e marionettista sloveno, figlio di Brane Solce anche lui attore e marionettista sloveno. Sono entrambi incredibili, nel senso che quando guardate i loro spettacoli non riuscite a credere a cosa state vendendo. Se passano vicino a casa vostra andate a vederli. Nel caso non lo facessero qui c’è un po’ di materiale video: https://www.matijasolce.com/ 

 

Se fossi il papa cosa farei: https://www.youtube.com/watch?v=CFxw2We3AgQ 

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