Un po’ di amore al giorno toglie la paura di torno  

Ognuno di noi indossa ferite e paure, piccoli mostriciattoli nella nostra testa che ci fanno dubitare degli altri e del nostro valore, ci portano ad odiarci e ad odiare, a farci e fare del male. C’è solo una cosa che può sconfiggerli…. 

James Tissot, The Apparition (dettaglio), 1885, collezione privata.

Scrivere un articolo del genere di questi tempi può suonare parecchio scontato e ridondante. Insomma, deve sempre prima succedere il fattaccio perché si urli al “affinché certe tragedie non accadano più”, perché ci si svegli a richiedere con urgenza misure più stringenti in fatto di tutela verso le donne contro violenze fisiche e psicologiche, e tutto il solito tamtam che ne consegue. Sì, che ne consegue per al massimo il mese seguente, prima che qualche altra notizia scacci tutto questo nel dimenticatoio fino alla prossima tragedia. Il primo problema in questi casi sta proprio nella tendenza ad abbandonarsi alle tendenze. Al politicizzare eventi e argomenti che non dovrebbero indossare nessun colore partitico. Perché riguardano tutti. A intavolare guerre dei sessi, al grido di “not all men” da una parte e di “all men” dall’altra, innalzando solo muri e non permettendo così di dialogare, chiarire, imparare dall’altro. Solitamente, infatti, a seguito di certi episodi, primariamente nel contesto massmediale si tende  ad incolpare l’esistenza di una società patriarcale, le cui malsane abitudini sembrano davvero dure a morire. Dure a morire perché ci sarà sempre qualche uomo (e qualche donna a causa del patriarcato interiorizzato!) che, volente o nolente, è stato cresciuto a pane e oggettificazione della donna. Dure a morire perché se un evento si ripete più e più volte nel mondo che ci circonda, la nostra mente lo normalizza e lo accetta culturalmente. Tutto questo è sacrosantamente vero: la nostra società è costruita su un modello patriarcale.

Quindi, cosa fare? Dell’importanza dell’educazione al rispetto e alla creazione di pattern relazionali sani sin dall’infanzia se n’è discusso molto e bisogna continuare a parlarne, affinché, seppur molto lentamente, di questa malapianta vengano estirpate le radici. Tutto ciò viene però quasi sempre declinato in chiave gender, in parole povere “maschi contro femmine”. Ritengo però che vi sia una dinamica ancora più profonda alla base di tutto ciò, che va oltre le differenze di genere e coinvolge ogni essere umano indistintamente, ossia quella che potremmo definire come ‘dinamica servo-padrone’. In altre parole, i discorsi sul sessismo sono solo un sottogruppo di un cappello discorsivo ben più grande, che include altre dinamiche simili (come il razzismo) il cui comune denominatore è la paura dell’Altro.

“Mors tua, vita mea”, “homo homini lupus”, “ubi maior minor cessat” e chi ne ha più ne metta: da che mondo è mondo l’uomo cerca di sopraffare l’altro per avere potere su quest’ultimo. È questo il vero problema, che non vediamo solo su larga scala, ma anche nel nostro piccolo. È da qui che è quindi necessario partire per riflettere su certe problematiche sociali ed è da qui che vorrei far partire effettivamente il mio ragionamento. La paura è sostanzialmente un’emozione generata dall’istinto più primordiale nell’uomo, quello alla sopravvivenza. Riassunto: se tu sei una minaccia per me e mi puoi provocare dolore o addirittura morte, io provo paura e reagisco di conseguenza. Alla luce di questo, sembrerebbe che l’uomo sia essenzialmente dominato da una sorta di egoismo che lo porta a vedere l’altro automaticamente come un pericolo. Così pensava fondamentalmente Hobbes e, in altre salse, altri filosofi a lui successivi: che l’uomo venga al mondo per prendere parte a un bellum omnium contra omnes, tutto qui. Secondo questo modo di vedere le cose, non esiste tra uomini un amore innato, bensì costruito dalle convenzioni sociali e regolato dalle leggi, che ammansiscono i nostri istinti più bestiali. Ma davvero, se vi fosse un “libera tutti”, ci faremmo del male l’un l’altro, così, gratuitamente?

Prendiamo come esempio la guerra, fatta dagli uomini contro gli uomini. Chi fa attivamente la guerra, sul campo, lo fa primariamente perché è obbligato e, qualora egli sia all’inizio veramente convinto delle idee per cui si batte, una volta che ha di fronte agli occhi tale carneficina quasi sempre cambia idea. Sul campo di battaglia il soldato “si volta, ti vede e ha paura” (mia enfasi), ha paura della tua divisa diversa, ha paura che tu possa essere più veloce a sparargli, ma non ha paura di te in quanto essere umano. Avete entrambi lo “stesso identico umore”, lo stesso identico desiderio di amore. E allora, perché la paura spesso vince sull’amore che abbiamo insito in ognuno di noi? Cos’è veramente la paura?

“Chi ha paura muore ogni giorno” – Paolo Borsellino

La paura ci rende ciechi e ci porta a odiare ciò che è diverso, pericolo, minaccia, ciò che può arrecarci dolore. La paura, se così possiamo spicciamente dire, è quella vocina nella testa che ci fa dubitare di noi stessi e del nostro valore, ci spinge a diffidare degli altri e ci ghermisce nei nostri momenti di fragilità, invadendo i cantucci inoccupati della nostra mente pian piano, giorno per giorno, diventando indisturbatamente sempre più assordante. Vi ricordate il celebre dialogo tra Sméagol e Gollum ne Il Signore degli Anelli? Ecco, incitandolo a odiare i due hobbit Frodo e Sam, il suo ‘alter ego’ Gollum porta Sméagol a ingannarli. Gollum rappresenta la voce della paura che ci fa credere che gli altri siano contro di noi e che la vita sia effettivamente una guerra di tutti contro tutti. Ma vi ricordate, ancora, come, nonostante tutto, Frodo si è comportato nei confronti di Sméagol? “Il potere terapeutico di Frodo sta nella sua capacità di sorridere e nella gentilezza con cui si rivolge a Sméagol”, chiamandolo con il suo nome vero da hobbit e non con il nome del mostro che è diventato (“Gollum e Smeagol – Come funziona il loro legame psichico?”). Questa parentesi tolkieniana ci serve per dire che qualcosa che possa sconfiggere la paura c’è e si chiama amore.

“Arrivare a non aver più paura, questa è la meta ultima dell’uomo” - Italo Calvino

Breve ma doverosa premessa sulla definizione di amore: il primo problema nella nostra società è che per noi la parola amore si veste di una connotazione prettamente romantica ed erotica. Insomma, amore sarebbe ciò che si prova nei confronti di un partner e basta. Ma in realtà questa è solo una delle tante declinazioni dell’amore, alla cui base sta un unico grande sentimento. Amore è quando vogliamo il Bene dell’altra persona, quando la vogliamo vedere felice. È quando sentiamo e vogliamo far sentire a quella persona che questo mondo è fatto per vivere e non per sopravvivere. È solo aprendoci così all’altro che vinciamo la nostra paura e aiutiamo gli altri a vincerla.

Cosa non è amore, allora?

“L’amore è paziente, è benevolo; non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità” (Prima lettera ai Corinzi 13:4-13 NR94)

L’amore non è gelosia, l’amore non è possesso ed ossessione, l’amore non è invidia, non è dolore, non è violenza. Questi, dal canto loro, sono figli della paura e delle insicurezze sue scagnozze. Esse fondamentalmente fanno leva su traumi e ferite creatisi nel passato, familiare e non, di ciascuno di noi. Purtroppo, il modo in cui ci viene insegnato cos’è l’amore da piccoli, infatti, non è sempre giusto. I vari comportamenti dei “caregivers” portano alla normalizzazione nella nostra mente di certi pattern che, di conseguenza, spesso tendiamo a ricercare nei nostri rapporti da adulti. Inoltre, ingigantendo le ferite dei traumi passati, le paure ci convincono che siamo esseri manchevoli ed incompleti che devono trovare nel partner la cosiddetta “altra metà della mela”. Così, in una sorta di loop, certe tipologie comportamentali si sclerotizzano in quella che noi sentiamo come una sorta di comfort zone che, in realtà, non è altro che una zona di discomfort in cui foraggiamo le nostre paure. Purtroppo, come abbiamo visto, tutto questo può portare anche a derive tragiche.

Cosa fare contro il non-amore?

Al contrario della paura, che fa le pentole ma non i coperchi, l’amore e la bontà abbattono i muri e ci disarmano degli scudi della paura e, al contempo, ci donano armi che ci possano rendere veramente potenti e liberi. L’empatia, la sensibilità, il rispetto delle necessità, dei tempi, degli spazi e della volontà dell’altro. L’attenzione a essere “ospiti pieni di premure” che si approcciano all’altro “con delicata attenzione”. La consapevolezza di essere degli individui già completi con identità singole che trovano nell’altro una fonte di miglioramento e arricchimento nella propria vita, qualcuno che ci sproni a tirare fuori il meglio di noi, e non “una protesi o […] una pezza per coprire un buco su un indumento”. Stando insieme e confrontandosi (parlando ed ascoltando), contemporaneamente noi impariamo qualcosa dell’altro e dall’altro e creiamo un clima di stima reciproca, di intimità, di supporto, di connessione, di evoluzione interiore. Volersi bene è l’intreccio di due mani entrambe complete delle cinque dita, è unirsi senza diventare un’unica entità.

È vero, tutti noi indossiamo ferite e paure e tutto questo può suonare quasi utopico, ma se cercassimo nel nostro piccolo di aspirare a ciò quando si tratta di relazionarsi con l’altro, piano piano, con pazienza, riusciremmo a cambiare le cose e a fare enormi passi avanti. Con l’amore possiamo indebolire e sconfiggere la paura, nostra e dell’altro, perché l’amore non ha schiavi né padroni, non contempla logiche di sopraffazione, bensì di cooperazione. Con un po’ di amore al giorno, possiamo levare la paura di torno.

Giulia Corinaldesi - fuori redazione

presentazione dell’autrice:

Mi chiamo Giulia. Sì, ho un nome molto mainstream, ma un cognome che fa accapponare la pelle a qualsiasi operatore di call center. Sono un po’ semplice e un po’ complicata. Un po’ anglofila e un po’ gli inglesi in fondo non li sopporto. Sono beatlesiana fino al midollo, ma di nascosto ascolto anche i Rolling Stones. Adoro cantare, ma la prima cosa che ascolto in una canzone è la linea di basso (best hobby ever). Studio lingue, ma col senno di poi avrei fatto medicina. Ho doti oratorie discrete, ma mi piace da morire scrivere (o sono grafomane o ho solo paura che non rimanga nulla di me su questo mondo). Sono io, ma sono anche qualcun altro. Mi sento tante cose. Tante prospettive. Ed è questo che vorrei trasmettere con ciò che scrivo.

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